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Raduno botanico Actaplantarum a Trieste

Antefatto: “Quest’anno il raduno si farà dal 22 al 25 giugno a Trieste, ci accompagnerà il prof. Pier Luigi Nimis, specializzato in lichenologia”. Questo l’annuncio in pompa magna nel forum per cui, visto che si farà a Trieste culla del carsismo e della speleologia, posso mai tirarmi indietro?. “Aderiamo, semmai ci defiliamo e andiamo in grotta” dico a Sergio, molto perplessa sia sul periodo “a Trieste in giugno, solo erbacce piene di zecche” che sull’esperto “immagino che luminare anzianotto e barboso, mi toccherà guardar cortecce e far finta che m’interessano pure”. Sergio accetta ben volentieri non tanto per la speleologia, più che altro per il magnarum.

Giovedi 22 giugno. Arrivati presto a Repen (Monrupino) troviamo solo Marinella, più in anticipo di noi.“Vieni al mare? Il tempo di sistemare in frigo le vivande e andiamo”. “No, aspetto gli altri e poi non ho il costume”. A Trieste due sono le cose da non perdere: il carso e il mare (nell’ordine). Fatti gli inesistenti convenevoli con la gestrice dell’albergo, tanto laconica quanto esuberanti i sardi, ce ne andiamo a barcarola a fare il bagno. Scoprendo che l’acqua è si limpida ma con ondate di fogna, e io che speravo di vedere i protei evasi dalle risorgenti. Bon, tornati in albergo incontro finalmente Roberta, squisita emiliana dalla simpatia unica. Ci sono anche le new entry di forum a compensare i vuoti di quest’anno, speriamo temporanei. E gli altri? “ a gironzolare nella dolina con il professore”. Ambè, penso, meglio il mare.

Venerdì 23 giugno. Impera il caldo africano che non ci fa chiudere occhio per cui la nostra meta sarà al fresco relativo del Castelliere di Tabor, nei pressi del cimitero; poi alla dolina di Percedol e infine al sentiero Tiziana Weiss. Sergio decide che cercherà grotta Azzurra e grotta dell’Orso per vedere quale si presta meglio all’uscita di domenica, per cui me ne vado con Enzo al parcheggio del cimitero dove ci riuniamo tutti per la prima lezione del prof. Nimis. Mai sorpresa fu nello stesso tempo più grande e più gradita. Tanto per cominciare non è vecchio (3 anni più di me, giovanissimo!) e nemmeno barboso ma un esuberante, simpatico, grande e grosso professore con una conoscenza e una cultura universali. Ci presenta poi un ragazzo, Giovanni, biologo, specialista di formiche. Ci fosse stato Carlo M. avrebbero fatto comunella. Noi, dal canto nostro, veniamo letteralmente rapiti dall’eloquenza del nostro accompagnatore che spaziando dall’archeologia, alla geologica, al paleoclima, ai paleoambienti, atterra su un pezzo di calcare. Senza smettere un attimo di parlare, con la lente appiccicata alla roccia, ci illustra oltre 20 specie di licheni. Non solo l’elenco dei nomi, macchè, la loro storia a partire più o meno dalla nascita delle terre emerse, lo sviluppo, la simbiosi con le alghe, le proprietà, fino al totale completo rivestimento di ogni roccia calcarea, non più nuda ma lichenosa alla massima potenza. Poi tocca a noi “quanti licheni riuscite a vedere?” si offre volontaria Milena che, bontà sua, ne vede 12. Passiamo poi a circumnavigare il castelliere sommersi da informazioni di ogni tipo, comprese quelle di Giovanni sulle bestiacce, parimenti interessanti. Seconda tappa alla dolina di Percedol, fonda 35 metri laddove si passa da un clima temperato continentale a uno di media montagna, notare, in basso. Un bel freschetto seduti davanti a uno stagno con ninfee. Qua pure ci sono licheni ma stavolta sugli alberi, e la cavia per scoprire la differenza tra due specie la fa Jack che li deve masticare ben bene, non inghiottire e, a seconda della smorfia, si vedrà se è la specie amarissima o quella innocua, almeno sotto il profilo organolettico. Jack resta imperterrito ma qualcun altro, sfidando la sorte, scoprirà anche quello amarissimo. Giovanni ci chiede di trovare serpi e quant’altro di strisciante ma poi si accontenta di formiche e giù a raccontare le vicende di quelle gialle a botte di miele che stanno belle rintanate sotto terra. Lo sapevate? Io no ma adesso si. Il difficile è ricordarsele tutte ste informazioni. Una valanga, condite con divertenti aneddoti altrettanto interessanti sugli abitanti del luogo, a partire dai più antichi. Ovviamente. Break ai tavoli del Krizman con le specialità regionali degli actaplantarensi, come da tradizione, ma niente riposo. Che il professore non mangia, beve solo caffè, si nutre a fotosintesi ed è ansioso di fornirci altre notizie che noi assorbiamo come il lichene l’acqua, cioè quasi niente, essendo in ogni caso ben contenti di ascoltarlo e facendo gara a chi sta più vicino. Perché non s’azzitta un attimo, meno male che ogni tanto ci permette la sosta per pascolare flora, altrimenti perderemmo lo scopo principale del raduno, far incetta fotografica di specie, anche se quella vera la fa Davide per l’erbario universitario. Terza, ma non ultima tappa, è il sentiero Tiziana Weiss che si snoda sotto il “formaggino” tra le pareti a strapiombo sulla costa triestina. Qua ci sono le specie prettamente mediterranee che dovremmo conoscere un po’ tutti, salvo che sono subsp.tergestine e, quindi, assolutamente da fotografare senza, possibilmente, cascare di sotto come peri marsi. Nessuno di noi è precipitato tesi com’eravamo a non perderci una virgola dei discorsi del professore e di Giovanni. Zuppi di sudore, anelanti una doccia ghiacciata non è finita qua, c’è il sentiero napoleonico e fortunatamente una fresca fontana dove far incetta d’acqua. Qua di notevole ci sono i cianobatteri, a mio avviso erano notevoli anche le faglie ma non ci siamo arrivati, troppo indaffarati a fotografare specie di parete con le orecchie a imbuto. Sudati stanchi affamati ed assetati non ci resta che tornarcene alla base aspettando la cena e domani, mi raccomando, puntuali alle 9 a San Lorenzo che c’è la Val Rosandra da scendere. Come una piacevole minaccia.

Sabato 24 giugno. Puntualissimi ben prima delle 7,30, ora di colazione, ci troviamo davanti all’Hotel dove Marinella teutonicamente detta e decide posti macchina e diposizione viveri, affettando carne e speck. Perché il percorso è solo in discesa, servono macchine con viveri sopra e macchine con guidatori sotto che ritorneranno sopra (in auto) a riprendere quelle rimaste sopra. Avete capivo voi come si fa? Nessuno. I tempi sono stretti, alle 9 ci aspetta Giovanni e alle 9,30 arriverà il prof.Nimis. Fatto sta che l’albergo è serrato e nessuna aria di colazione in vista. Gli animi iniziano ad agitarsi, un po’ perché chi ha finestre affacciate al giardino non ha chiuso occhio causa festa protrattasi fino alle 3 di notte, tanto perché non possiamo assolutamente tardare, ne va l’onore di Actaplantarum. Arriva anche Daniela che, vedendo Marinella col coltello in mano, non apre bocca, aspettando disposizioni. Marinella, sempre più incazzata, interrogata l’inserviente che non spiccica parola in alcun idioma conosciuto, quindi si dirige minacciosa sotto la casa dei gestori dell’albergo e si attacca inutilmente al campanello. Poco male, usa le nocche bergamasche e a momenti butta giù la porta, a suoi tempi avrebbe utilizzato l’ariete, sicuro. Fatto sta che s’affaccia nascostamente la gestrice mezza nuda che si precipita a preparare finalmente l’agognata colazione. Col boccone in bocca ci affrettiamo all’appuntamento seguendo Gianleonardo che aveva preallertato Giovanni del ritardo. Poco dopo ecco arrivare il professore sgommando sulla moto sigaretta in bocca. Inizia così la lunghissima giornata esplorativa. Il prof ci mostra l’itinerario: dapprima la prateria del Monte Stena, poi la discesa nella val Rosandra, attraversamento della valle nei pressi del confine sotto le pendici di Monte Carso, discesa nella valle sotto la chiesetta dei bestemmiatori, arrivo al rifugio della Società Alpina delle Giulie, il più basso d’Italia (che manco il CAI Napoli…) e ripresa delle macchine dei guidatori. Niente di che. Jack decide che camminerà qualcosa ma poi ci aspetterà laddove mangeremo, Sergio invece, ascoltando il pozzo di scienza, ci segue senz’altro e grande è la sua meraviglia a sentire che le rocce sono vive, così ricoperte interamente da licheni color calcare. Quelli che credevamo puntini di dissoluzione altro non sono che il risultato di processi adattativi laddove il lichene si è stabilmente insediato ben prima degli speleologi e bon. Nelle praterie possiamo pascolare ma poi ci affrettiamo a circondare il prof come pecore col pastore per non perdere le preziose notizie che dispensa a piene mani. Ritorno alla chiesetta di San Leonardo per mangiare stravaccati nell’erba (..piena di zecche e pisciate secondo me..) con una cassetta racimolata da Giorgio tra gli scarti, necessaria quale tavolino. Ci siamo adattati come i licheni. Il prof, fatto il pieno caffè, ci richiama all’ordine per la ripidissima discesa nella valle. “Vedrete che solo questo è il pezzo brutto”. Al sentire il pezzo brutto Roberta, chiestomi in prestito Sergio, si attacca al suo zaino e con ciò arriva sana e salva alla parte bella. Si fa per dire e per chi non soffre di vertigini, ma ciò non era contemplato. “Qua ci sono le rarissime endemiche dei ghiaioni” ci avverte e Jeppo che lo sa bene aggiunge “le subsp.tergestine, come ti sbagli!, basta aggiungere”. Per ogni buon conto, fotografiamo tutto tranne che il panorama. Quello dopo. Perché quando stanchi morti stufi accaldati ci troviamo al rifugio più basso d’Italia, sperando di restarci fino o a sera, no che dobbiamo tornare alle macchine e qua arriva Fabio S. Nostro è il piacere di averlo finalmente conosciuto il famoso Fabio S. tergestino di Actaplantarum e prima di ciò, speleologo della Boegan. “Dai che andiamo a vedere il più bel panorama d’Italia, tutta l’Istria, le montagne, il Quarnaro, il golfo di Trieste” e manco gliela molla più che vorrebbe aggiungere anche Formia e Gaeta dagli Aurunci ma non può. Quelli che non possono siamo Sergio e io che, cotti dal sole, abbiamo solo voglia di stenderci a 4 di bastoni. Ecco che però arrivano i “romani” a chiederci un passaggio fino al treno a Trieste. Alla buon’ora se n’escono sti qua. Vista la mia faccia interviene Jeppo “ci penso io a portarvi” sant’uomo!! Me ne vado dritta all’albergo a fare il bucato e alla esclamazione di Piera “sai che panorama ti sei persa” la lingua corre più del cervello “nun me po’ fregà de meno del panorama che da me ce ne sono quanti ne voglio e attualmente manco di fiori, piante superiori e inferiori e financo di formiche e bon, stanca morta stufa sono, famose a capì”. Che ognuno di noi ha il proprio limite di saturazione, anche di meraviglie.

Domenica 25 giugno. Ecco la giornata fatidica della grotta. Già che sei in carso e non vai in grotta? Peccato mortale. Però cercarne una adatta a tutti altra questione. La Boegan suggerisce grotta dell’Orso “ci portiamo i bambini”, Sergio esperito il sopralluogo da l’ok. Tra l’altro ci siamo preparati le lezioncine, Sergio sul carsismo e io sull’orso speleo. Però sia perché tanti sono già partiti, sia perché la grotta spaventa, ci troviamo in pochi, oltre a noi due: Daniela, Giorgio, Carlo C., Emilio, Enzo e Gianluca. L’entrata è grandiosa, un gran cavernone dentro una dolina con una discesa che convoglia acque e terra del circondario. Capito come? Acqua e terra. Va da se che appena poggiati i piedi sul suolo grottesco gli scarponi se ne vanno dove vogliono, santo bastoncino per chi ce l’ha. Immagino i bambini rotolanti come porcelli nella fanga acquosa, dicono i triestini “a Trieste il 50% è speleologo e l’altro c’è stato”, ecco, l’altra parte sono quelli che hanno fatto la grotta dell’orso e decretato “Mai più fango!”. Però vedo che i nostri non dicono ahi ne bai e proseguono sperando in qualcosa di meglio, chessò una Castellana. Ma no che le concrezioni con le colonne e ambaradan sono solo in fondo dove devi arrampicarti per una china scivolosa che se non ti sei già ben ben sporcato ci pensa lei. Il tutto dovendo anche stare di colpo immobili ad osservare il soffitto per le foto di rito che faranno risultare le grotta in tutta la sua morfologica bellezza, basta non guardare la melma ed è fatta. La grotta non continua, dopo la salita tappa inesorabilmente per la gioia dei nostri che finalmente possono uscire a cercare muschi, licheni, arbusti, alberi, fiori, qualcosa di diverso dal marrone. Ma no che tocca ascoltare la lezione di Sergio che ripete quella già fatta dal prof e la mia sulla frequentazione della grotta da parte dell’orso speleo estintosi stufo morto di fango e acqua. Abbastanza in fretta torniamo all’albergo dove, rivestiti di panni normali, ci fiondiamo a Trieste ad ascoltare il prof.Nimis che ci illustrerà la città “non tutta solo un’oretta”. A dire il vero secondo me a furia di studiare alghe e licheni, microscopiche creature, ha un metro giudizio alquanto dilatato perché la sua oretta dura tutta la giornata senza la famosa pausa pranzo actamagnarum. Ecco perché la raccomandazione di Roberta che stamattina mi ha suggerito “mangiamo tanto che non so quando mangeremo dopo”, previdente l’emiliana!! Oggi la giornata è stupenda, col cielo terso Trieste si vede al meglio, seguiamo il professore per ogni piazza e vicolo cercando di non perdere nemmeno una parola dei suoi racconti, tanto interessanti quanto divertenti. Trieste come non l’avevate mai conosciuta. Finita, si fa per dire, la parte cittadina, ci porta al molo ardito laddove, vista l’acqua azzurra limpida e cristallina, c’invita a nuotare fino a Venezia. Peccato che Marinella non ha il costume perché l’avrebbe anche fatto e l’avrei senz’altro seguita. Certo il professore ha fatto il conto senza l’oste, nella persona di Sergio che da mezzogiorno in poi più che guardare la città inizia a osservare acutamente i ristoranti con le stessa intensità del professore i licheni. Per cui salutati in fretta e furia tutti quanti, ce ne andiamo a cercare cibo e, possibilmente, un posto dove fare l’agognato bagno fino a Venezia. Di domenica a Trieste non c’è un parcheggio alla barcolana manco a pagarlo oro, tocca salire alla trattoria sociale dove, finalmente, ci rimpinzano di pollo fritto che la cucina è già chiusa, e grazie tante, sono le tre. Abbastanza sfiniti rientriamo in albergo e qua ci raggiunge Fabio S., già speleologo approdato alla botanica come me, che mi porta 2000 grotte della Boegan, la bibbia della speleologia triestina e non solo. Introvabile e prezioso. Mentre chiacchiera col resto della truppa tornata da Trieste, me lo leggo religiosamente e a malincuore lo restituisco al proprietario che deve proprio tornare a casa, sarebbe rimasto fino a notte ma anche lui, come tutti, ha una famiglia che l’aspetta. E quindi il raduno, almeno per me, s’è chiuso in bellezza, non così per Sergio che senza pastasciutta e con il tipico dolce triestino fatto di sabbia ha decretato di non aver mangiato niente.

Alla prossima! e al prossimo raduno, sempre super organizzato, un enorme ringraziamento a Marinella a Daniela e a tutti i partecipanti che, al solito hanno portato ognibendiddio, comprese delle eccezionali albicocche dell'albero di Mauro e Maria Luisa, graditissime. Un ringraziamento particolare va a Giovanni e al prof. Nimis, che, personalmente vorrei ingaggiare quale accompagnatore ufficiale di tutti i raduni, come dire: mai più senza!!!!!!!

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