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Ecco l'opinione di Giovanni Badino, che propugna la divulgazione di una speleologia "geografica" :

A me pare che da diversi anni una certa speleologia sia in crisi, per la precisione quella individuale, a orizzonti locali, in gruppi che cercano di essere autosufficienti.
Questa speleologia come attività ludica del tempo libero mi pare non abbia retto l'attrattività di altre attività "avventurose" nate negli ultimi due decenni, siano canyoning, subacquea, mountain bike, parapendio o che altro, che hanno sottratto adepti sino a soffocarla.
E del resto, diciamocelo, se uno è un Amundsen non si troverà gran che bene nei nostri gruppi grotte medi...
Per inciso, neppure l'equivalente alpinismo di tempo libero sta bene, ed entrambe le attività sono frequentate dai soliti irriducibili, ormai sempre più stagionati.
Ho l'impressione che, invece, stia benissimo e stia crescendo la speleologia geografica, portata avanti da gruppi di persone con progetti complessi e di lungo termine.
E così l'alpinismo di ricerca.
In questo senso i risultati esplorativo-geografici ottenuti nell'ultimo decennio sono stati di livello inconcepibile in passato, e stanno quasi ridicolizzando le nostre passate campagne esplorative.
Cito senza dubbio il -2000 caucasico, assiduamente ripetuto da squadre trasversali, ma anche l'esplorazione della Toca da Boa Vista, 102 km di grotta caldissima, le grotte sommerse sviluppate per centinaia di chilometri in Florida , e in Italia le esplorazioni ungheresi in Canin, le esplorazioni di Ingresso Fornitori e Bueno Fonteno in Lombardia, le attività La Venta che stanno dando una visibilità alla speleologia esplorativa che sarebbe stata inconcepibile pochi anni fa.
Quel che dico è che i paurosi successi di questa speleologia "adulta" ci stanno facendo dimenticare che dietro di noi c'è sempre di meno.
Chi scrive ha iniziato ad andare febbrilmente in grotta a 16 anni, come tutti all'epoca. Ora si inizia a 25-30 anni: ragazzi, per fare una buona speleologia in genere è troppo tardi...
Da qui viene la contrazione delle esplorazioni diffuse sul territorio e invece la diffusione di passeggiate disostruttive, feste, speleologia chiacchierata, pataccame.
La mia ricetta è, da una parte ricominciare da capo, puntando ad affascinare i bambini al mondo delle grotte, dall'altra cercare di produrre ausili didattici che portino più gente possibile a fare il balzo in avanti, abbandonando la speleologia domenicale e puntando ad una speleologia di progetti geografici.
Già, servono ausili didattici che "arrivino dall'alto", almeno come coordinamento, perché non si può pretendere che chi ritiene che i corsi servano ad insegnare a passare un cambio teso possa insegnare a fare vasti progetti interdisciplinari.
Ma qui entrano in gioco i libri, e in generale l'apertura verso l'esterno.
Eh già, perché mentre la speleologia del tempo libero non ha -giustamente- nessuna possibilità di farsi valere nel mondo esterno, la speleologia geografica ce l'ha, eccome.
E, aggiungo, ci sta pure riuscendo, come mostrano appunto certi risultati La Venta (la campagna messicana per inserire la Selva El Ocote (Chiapas) nella lista del Patrimonio dell'Umanità è basata sul lavoro degli speleologi-geografi), l'impatto del film L'Abisso , o certi premi recenti, o certi progetti di federazioni regionali.
Ma secondo me non bisogna confondere i libri con la letteratura.
Da qualche anno penso sia tempo di uscire dall'editoria puramente speleologica per puntare a inquadrare la nostra attività nel più vasto mondo dell'attività di ricerca-esplorazione.
In questo senso il mio libriccino "Un Color Bruno" è strategico, vuole da una parte dare "buone letture" e coraggio culturale a chi si sbatte nell'esplorare le sue grotte, mostrandogli il quadro in cui sono immerse queste ricerche, dall'altra punta a mostrare all'esterno una speleologia ben inquadrata nell'azione umana di ricerca.
Vuole quindi puntare a dare rango alla speleologia geografica.
Di qui la scelta del taglio, dei contenuti e dell'editore.
Naturalmente non è letteratura né, d'altra parte, io sono letterato: è didattica e vetrina.
Credo che ce la faremo, ma dobbiamo avere molto più coraggio nel mostrare ai nuovi adepti che la speleologia è molto più del montar dritto un discensore, sennò ci troveremo circondati di escursionisti occasionali.
Purtroppo stiamo da diversi anni pagando il prezzo della nostra lingua che ci costringe ad un isolamento culturale.
"La lingua di Dante" dicono in tutto il mondo con esaltata venerazione per Dante, non per la lingua, che nessuno legge. Dunque ci dobbiamo confrontare con una nicchia troppo piccola e contenuti forse troppo grossi.
E' un problema che La Venta sta vivendo in questi anni (certi libri in progetto probabilmente non usciranno in italiano), ma che andrà affrontato negli anni futuri da tutti noi.
Nel frattempo vi invito a sbattervi per fare corsi un po' più interessanti dal punto di vista culturale, pian piano i risultati verranno.
(Badino)

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