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LA CRISI: UN'OPPORTUNITA' PER L'AMBIENTE
A cura di VALERIO GUALERZI

Terry Barker, il direttore del Centro per la ricerca della mitigazione dei cambiamenti climatici dell'Università di Cambridge, ha azzardato un pronostico molto impegnativo: "In occasione della Grande Depressione, tra il 1929 e il 1932, le emissioni di anidride carbonica sono crollate del 35 per cento. A mio avviso esiste la possibilità che entro il 2012 il calo sarà ancora più vistoso, tutti gli indicatori stanno precipitando". E' un po' come sostenere che il problema del riscaldamento globale è praticamente risolto, visto che in appena due anni sarebbe stata ottenuta quasi la metà dell'ambizioso obiettivo fissato da Obama per il 2050 (-80%) e quasi raddoppiato quello del -20% previsto dall'Unione Europea per il 2020.
Tutto risolto, dunque? Non esattamente, perché altri esperti fanno notare che la crisi ridurrà drasticamente i fondi necessari a riconvertire l'economia verso il traguardo delle "emissioni zero", e quando i paesi del G20 saranno fuori dal tunnel della recessione la produzione di gas serra schizzerà nuovamente alle stelle in un battibaleno, vanificando in pochissimo tempo i benefici dello stop.
Questa ambiguità è solo una delle tante che la crisi economica intreccia con le politiche ambientali.
I fattori per cui il rallentamento può rappresentare una svolta positiva sono molti, ma altrettante sono le possibili minacce. Crisi economica significa meno emissioni, necessità (o quanto meno possibilità) di rivedere il modello di sviluppo seguito sin qui. Non è un caso se mai come in questo momento si parla ovunque di New Deal Verde. Ma crisi economica significa allo stesso modo far retrocedere l'ambiente nell'agenda delle priorità rispetto a problemi più urgenti come l'occupazione, avere a disposizione meno risorse da investire in ricerca e innovazione tecnologica e significa, infine, prezzo del petrolio in caduta libera, il che rende meno conveniente pratiche virtuose come l'efficienza e il risparmio energetico. Le variabili e le possibili risposte della politica a questo scenario sono moltissime e capire quali di questi aspetti alla fine sarà più importante è molto difficile.
Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club :
Credo che il saldo finale della crisi sarà positivo in termini di opportunità ambientali, ma che l'entità di questo saldo dipenderà dalle politiche che verranno adottate. Tutto fa pensare che gli Usa, spingendo sulla trasformazione della produzione di automobili verso modelli a basso consumo e destinando 50-100 miliardi di dollari alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici e alle rinnovabili, si stiano attrezzando per una incisiva ed efficace fuoriuscita "ecologica" della crisi. In parallelo, gli investimenti sugli scisti bituminosi e sul nucleare subiranno invece un rallentamento.
Giappone e Corea del Sud hanno analogamente lanciato dei pacchetti di stimolo marcati come "Green new deals" e la Cina intende spendere larga parte dei 586 miliardi di dollari in progetti legati all'energia e all'ambiente.
L'Europa è sulla stessa strada, forte anche degli ottimi risultati che alcuni paesi, come la Germania e la Spagna hanno ottenuto in termini di nuove industrie ed occupazione nel campo delle rinnovabili e dell'efficienza energetica.
Arturo Lorenzoni, Direttore di Ricerca presso l'Istituto di Economia e Politica dell'Energia e dell'Ambiente dell'Università Bocconi di Milano.: Gli effetti della crisi sul settore sono funzione delle politiche che andiamo ad avviare. Sta a noi decidere se amplificare la spirale negativa della crisi del manifatturiero o se dare una risposta forte a partire dalla domanda obbligata di sostenibilità nel settore energetico. Per questo in fondo ritengo sia un'opportunità: la discesa dei tassi avvantaggia gli investimenti ad alta intensità di capitale; i problemi del settore auto favoriscono interventi mirati a soluzioni innovative (non incentivi a pioggia, ma sostegno a soluzioni efficienti, come le auto a bassi consumi, le ibride, le elettriche); l'edilizia può riprendersi se punta sulla qualità di materiali e impianti. Le scelte americane possono veramente stravolgere i mercati. Se si confermano i target altissimi a breve termine (raddoppio delle rinnovabili Usa in tre anni), ad esempio tutta la produzione dell'est di moduli fotovoltaici, che ora sono venduti sottocosto in Europa, riprende la via degli Stati Uniti, con una ripresa degli investimenti e un sostegno ai prezzi (buono per l'industria, meno per i consumatori).
Maurizio Pallante, animatore del Movimento italiano per la decrescita: Ritengo che la recessione porterà a superare la follia indotta nei paesi occidentali da sessant'anni di sovrabbondanza di petrolio a basso prezzo e ad adottare comportamenti individuali e stili di vita più responsabili nei confronti degli ambienti: meno spreco di risorse e meno emissioni. Ma ritengo che apra anche grandi prospettive per investimenti e sviluppo di settori industriali che producono, commercializzano, installano e fanno la manutenzione di tecnologie che accrescono l'efficienza nell'uso delle risorse: dalla coibentazione degli edifici alla produzione di macchinari ed elettrodomestici più efficienti, dal recupero delle materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi allo sviluppo di forme di mobilità più veloci e meno inquinanti (mezzi pubblici collettivi e mezzi pubblici a uso privato a domanda alimentati elettricamente a rete). E' compito della politica indirizzare in questi settori la ricerca e gli investimenti, ma non è detto che ci riesca o voglia farlo, perché le pressioni delle lobby industriali esistenti (automobile ed edilizia) sono molto forti. Se questa ipotesi si realizzasse, si potrebbe avviare un nuovo ciclo economico virtuoso basato sulla riduzione dei consumi di materie prime e di energia a parità di produzione.
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