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L'epopea della conquista

Tra gli anni Venti e gli anni Trenta - pungolati dal regime fascista che pretendeva la conquista del record mondiale di profondità, ma anche grazie ad un primo sostanziale svecchiamento di tecniche e materiali - gli speleologi italiani ottengono importanti risultati, esplorando la gran parte delle cavità più profonde del mondo: 19 su 30 nel 1927 e 36 su 50 nel 1937 (considerando le grotte oltre i 200 metri). Nel 1927 vede la luce la rivista Le Grotte d'Italia, curata da Boegan e Bertarelli con base alle Grotte di Postumia, "per promuovere sempre più le esplorazioni e gli studi che ad esse si accompagnano, contribuendo a dare lustro e vantaggio alla Patria". Nel 1928 il Ministro per l'Economia nazionale istituisce la Tessera speleologica. Ma la boria del regime ha le gambe corte ed è ben sintetizzata nella parabola esplorativa del temibile abisso veneto Spluga della Preta. Nel 1927 una spedizione scende i primi tre grandi pozzi e si ferma a meno 380 metri di profondità. Una bella impresa, ma insufficiente per quello che doveva essere l'abisso dedicato al Duce. Così, quando tornano in superficie, gli esploratori dichiarano che la grotta è profonda 637 metri, "massima profondità mondiale". Solo nel 1958 gli speleologi veronesi hanno svelato che l'abisso esplorato non superava i 390 metri, scoprendo però che proseguiva. A Natale del 1981 nuove esplorazioni hanno portato la profondità a meno 875 metri. La Spluga della Preta si è riscattata, prendendosi la rivincita(per saperne di più vi consiglio di vedervi il bellissimo film "l'Abisso" regia di Alessandro Anderloni, soggetto di Francesco Sauro, Accademia della Lessinia, Federazione Speleologica Veneta).
Ma torniamo al 1927. Allora il Catasto delle grotte italiane, attivo a Trieste sin dal 1890, registrava 4.000 cavità, salite poi a 6.300 nel 1937 (oggi sono oltre 30.000). Dopo il Congresso speleologico lombardo del 1928, si decise la collocazione dell'Istituto Italiano di Speleologia presso le Grotte di Postumia e, nel 1933, si tenne a Trieste il primo Congresso italiano di speleologia.
Nel 1930 una coraggiosa spedizione affrontò l'Abisso "Enrico Revel", sulle Alpi Apuane, con un pozzo profondo ben 316 metri. Dopo la seconda guerra mondiale i gruppi speleologici della Lombardia, riuniti sotto l'egida del Touring Club Italiano, costituirono il Centro speleologico italiano (1946) per ridare vigore all'attività esplorativa.
Un obiettivo pienamente riuscito: solo due anni dopo, nel 1948 ad Asiago, fu convocato un Congresso nazionale e, nel 1951, vide la luce a Pavia la nuova Società Speleologica Italiana; nello stesso tempo, con sede presso l'Università di Bologna, ripartì anche l'attività dell'Istituto Italiano di Speleologia.
Nel 1950, altresì, ci sarà la pubblicazione della rivista "Rassegna Speleologica Italiana" che sostituirà degnamente per 25 anni "Le Grotte d’Italia".
Nel 1965 a causa di alcuni luttuosi eventi si costituisce il Soccorso Speleologico (C.N.S.A.S.)

una frontiera da immaginare
ovvero l'attuale speleologia

Negli anni Cinquanta, in Francia, sulle orme di Martel si muove Norbert Casteret, (scopritore dell'orso d'argilla di 20.000 anni fa nella grotta di Montespan), esploratore delle gallerie ghiacciate dei Pirenei e promotore delle audaci e tragiche spedizioni nell'Abisso della Pierre Saint Martin (con un vertiginoso pozzo iniziale di 346 metri dove precipiterà Marcel Loubens). Un altro francese, Michel Siffre, farà parlare di sè più tardi negli anni '60 per i suoi strani esperimenti "fuori del tempo" che lo portano a restare per 205 giorni chiuso in totale isolamento in una grotta. Sono anni di grandi spedizioni e di abissi sempre più profondi: nel 1953, sull'altipiano del Vercors nella Francia meridionale, viene trovato l'ingresso del Gouffre Berger.
Quell'abisso resterà per lungo tempo la grotta più profonda del mondo e sfaterà la barriera- mito psicologica dei "meno 1.000", un chilometro nel cuore della Terra. In quegli anni i gruppi speleologici hanno schemi molto rigidi, tra disciplina militaresca in grotta e obbligo di impegno scientifico all'esterno. I materiali fanno passi da gigante, ma le scalette costringono a manovre farraginose che richiedono molte persone e grande dispendio di energie.
La rottura della barriera tecnica arriva negli anni Settanta e si accompagna, anzi viene preceduta - come ogni rivoluzione che si rispetti - dal superamento dei vecchi schemi mentali.
L'anticonformismo sessantottino che irrompe nel mondo speleologico è ben descritto da Andrea Gobetti nel libro "Una frontiera da immaginare"; l'esplorazione, scrive Gobetti, "è l'atto più semplice che esista, basta guardare. Ma bisogna ricordarsi di non demolire tutto questo sotto una montagna di retorica e un piedistallo di eroismo in bachelite e appestarlo, trasportando anche queste nuove terre nei domini di un non- modo di vivere insieme, lontano dal quale già siamo fuggiti sotto terra".
Muore così, per inedia, l'antica discriminazione tra i portatori bruti delle squadre d'appoggio e gli esploratori privilegiati di quelle di punta.
Vanno in soffitta le ingombranti e scomode scalette in favore della più elaborata ma libera progressione su sola corda, che permette di ridurre i pesi ad un terzo e i volumi ad un quarto rispetto ai materiali precedenti. Una tecnica, ancor oggi in uso, che permette inoltre una completa autonomia personale e l'autosufficienza esplorativa anche a piccoli gruppi.
L'impatto iniziale però è traumatico: chi resta attaccato alle scalette, chi ha paura del nuovo, automaticamente viene messo fuori gioco. Si consuma così, nel buio delle grotte, un ricambio generazionale quasi completo che darà vita alla speleologia contemporanea.

Le esplorazioni del futuro

L'estensione del mondo sotterraneo conosciuto è raddoppiata quasi ogni dieci anni. Grazie all'aggiornamento dei materiali e delle tecniche esplorative sembra un processo senza soste, che richiede un crescente sforzo di studio e un livello di documentazione sempre più raffinato.
Nuove possibilità esplorative si sono aperte soprattutto per la maggiore facilità e velocità di spostamento, tanto che ormai sono all'ordine del giorno spedizioni speleologiche internazionali anche in luoghi un tempo considerati quasi inaccessibili (in Sudamerica, in Estremo oriente, ai Tropici).
Contemporaneamente la diffusione della rete informatica Internet, prima negli ambienti scientifici e poi nelle case, ha dato un gigantesco impulso ai contatti e agli scambi tra le diverse speleologie, permettendo un aggiornamento in tempo reale delle conoscenze scientifiche e dei principali risultati esplorativi.
All'orizzonte si profila un rischio. Quello che le nuove generazioni si avvicinino alla speleologia con spirito passivo e consumistico - del peggior genere "usa e getta" - anche per il diffondersi della moda artificiosa degli sport estremi. La speleologia non ha nulla di estremo.
Se praticata con un po' di cervello è un'attività bellissima e accessibile a tutti. Certo, richiede tanta passione, volontà, curiosità e impegno.
Le grotte di maggior dislivello nel mondo hanno appena oltrepassato la soglia esplorata dei 2.000 metri; ma le profondità massime "teoriche" superano in molti massicci i 2.500 metri: come in Pamir, sui Pirenei, e sulle Alpi Lombarde; mentre in Nuova Guinea si ipotizzano i 3.500 metri.
L'importante è ricordarsi che le grotte del futuro (come quelle del passato) scaturiranno solo dalla fantasia, dalla creatività e dalla tenacia degli esploratori.
continua...
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